SMIC: operazione da 5,8 miliardi di dollari per rafforzare la produzione di chip. E intanto la Cina…

SMIC è pronta a rafforzare ulteriormente la propria posizione nell’industria dei semiconduttori con una operazione strategica dal valore complessivo di 40,6 miliardi di yuan, pari a circa 5,8 miliardi di dollari (circa 5,3 miliardi di euro). L’accordo prevede l’acquisizione del 100% delle quote di SMNC, una delle sue principali unità produttive di wafer.

Semiconductor Manufacturing International Corporation acquisirà il restante 49% delle quote di Semiconductor Manufacturing North China (SMNC), diventandone l’unico proprietario. In precedenza, SMIC deteneva già una partecipazione di maggioranza pari al 51%.

SMNC, nodo chiave per i processi maturi

SMNC, con sede a Pechino, è una controllata strategica di SMIC focalizzata sulla produzione di circuiti integrati avanzati su nodi maturi, come i 12 nanometri i quali, pur non essendo all’avanguardia come i nodi più piccoli, sono fondamentali per settori chiave com l’automotive, l’IoT e gli elettrodomestici. Le sue attività coprono un’ampia gamma di applicazioni, dal computing all’elettronica di consumo, rendendola un asset rilevante nel contesto dell’industria cinese dei semiconduttori.

L’operazione consentirà a SMIC di esercitare un controllo completo su questa unità produttiva, in un momento in cui l’autosufficienza tecnologica e il rafforzamento della filiera nazionale dei chip rappresentano priorità strategiche per la Cina.

Acquisizione tramite emissione di azioni

Secondo le informazioni disponibili, SMIC acquisirà la quota residua di SMNC da cinque entità sostenute dallo Stato, attraverso un’operazione basata sull’emissione di nuove azioni di classe A. In totale, verranno emesse 547,2 milioni di azioni, che saranno assegnate ai cinque azionisti di minoranza uscenti.

Tra questi figura anche il China National Integrated Circuit Industry Investment Fund, uno dei principali veicoli statali di investimento nel settore dei semiconduttori, insieme ad altri soggetti istituzionali.

Impatti su asset e sviluppo a lungo termine

SMIC ha dichiarato che l’operazione è finalizzata a migliorare la qualità degli asset del gruppo e a supportarne lo sviluppo nel lungo periodo, rafforzando la struttura industriale e il controllo sulle proprie capacità produttive.

Nel documento viene citata anche un’altra controllata, SMSC, lasciando intendere che gli azionisti uscenti da SMNC, insieme a nuovi investitori, potrebbero entrare nel capitale di questa società. In tal caso, il capitale registrato di SMSC potrebbe aumentare in modo significativo, passando da 6,5 miliardi di dollari a 10,1 miliardi di dollari.

Nel complesso, l’operazione conferma la strategia di SMIC di consolidare le proprie attività chiave e rafforzare il controllo sulle infrastrutture produttive, in un contesto globale sempre più competitivo e segnato da forti tensioni geopolitiche nel settore dei semiconduttori.

Nuove regole in Cina per diminuire la dipendenza da tecnologie straniere

Nel frattempo, la Cina ha introdotto nuove regole che impongono alle aziende nazionali di utilizzare almeno il 50% di strumenti e macchinari locali nella costruzione o nell’espansione di nuovi impianti per la produzione di semiconduttori. La misura è vincolante per tutti i clienti cinesi che intendono aumentare la capacità produttiva delle proprie fabbriche e mira a ridurre la dipendenza dalle tecnologie statunitensi e straniere.

L’utilizzo di apparecchiature domestiche diventerà dunque un requisito obbligatorio per ottenere l’autorizzazione a sviluppare o ampliare impianti produttivi in territorio cinese. Le aziende dovranno dimostrare, attraverso procedure di gara e documentazione di approvvigionamento, che almeno metà delle attrezzature impiegate proviene da fornitori cinesi, e non da aziende degli Stati Uniti o di altri Paesi.

La risposta di Pechino alle mosse di Washington

La decisione arriva in un contesto di rinnovate tensioni tecnologiche tra Cina e Stati Uniti. Nelle ultime settimane, Washington ha autorizzato alcune grandi aziende tecnologiche, tra cui NVIDIA e Samsung, a spedire nuovamente chip e strumenti correlati in Cina, una mossa interpretata come funzionale alla crescita e alla cooperazione tecnologica, in particolare nei settori dell’AI e del computing avanzato.

Pechino, tuttavia, sembra seguire una linea diversa. Le nuove disposizioni indicano la volontà di rafforzare una filiera dei semiconduttori sempre più autosufficiente, anche in ambiti in cui le tecnologie straniere – provenienti non solo dagli Stati Uniti, ma anche da Giappone, Corea del Sud ed Europa – risultano ancora disponibili senza particolari restrizioni.

Un obiettivo che va oltre il 50%

Fonti vicine al dossier riferiscono che il limite del 50% rappresenta in realtà una soglia minima. Un funzionario ha affermato che le autorità preferirebbero percentuali ben più elevate e che l’obiettivo finale sarebbe quello di arrivare, nel tempo, a impianti basati al 100% su apparecchiature domestiche.

Non si tratta della prima iniziativa di questo tipo. Già dal 2023, dopo l’inasprimento dei controlli statunitensi sull’export di tecnologie per semiconduttori verso la Cina, Pechino aveva iniziato a spingere le aziende nazionali verso un maggiore utilizzo di soluzioni locali.

Una strategia di lungo periodo per l’autosufficienza

La nuova regola del 50% viene interpretata come parte di un approccio “a livello di sistema Paese”, con cui la Cina intende costruire una catena di approvvigionamento dei chip autonoma e resiliente. Resta da capire quanto rapidamente l’industria locale sarà in grado di sostituire le tecnologie straniere più avanzate e quale sarà l’impatto reale di questa politica nel confronto tecnologico con gli Stati Uniti.

Solo nei prossimi anni sarà possibile valutare se questa strategia consentirà alla Cina di rafforzare in modo strutturale la propria industria dei semiconduttori o se finirà per rallentare l’espansione della capacità produttiva nel breve periodo.

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